Il Signore è risorto, è veramente risorto. Questa è la Pasqua.
“Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto, non è qui!” (cfr. Mc 16,1-7).
La vita ha vinto la morte.
La luce ha vinto la notte. La speranza ha sconfitto la paura e la delusione.
Ce l’ha ricordato papa Francesco, lavando i piedi alle detenute di un carcere di Roma nella messa del giovedì santo: l’amore che serve prevale sulla disperazione.
Ce l’ha ricordato il cardinale Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, dalla terra benedetta e martoriata della Palestina: la luce della Pasqua prevale sulla guerra.
Ce l’hanno ricordato tante persone, che in questi giorni hanno conosciuto il dolore della malattia e della morte di chi è caro: la forza della vita germina nei solchi della sofferenza e del distacco, e le lacrime riflettono i bagliori della risurrezione.
Con le donne d’Israele siamo venuti anche noi a cercare
…colui che abbiamo accompagnato sulla salita del Calvario e abbiamo visto torturato e ucciso come un criminale. Lui, l’Innocente, come innumerevoli innocenti di questo mondo ferito dall’odio, si è consegnato al Padre e nelle mani dei carnefici perché la luce dell’amore attraversasse sfolgorante anche le tragedie dell’ingiustizia e della discriminazione.
Con le donne d’Israele condividiamo la paura, lo smarrimento, ma anche l’anelito di qualcosa di nuovo, la ricerca di una risposta che profumi di gioia e di pace. È bella la perseveranza delle donne, radicate in una consuetudine comunitaria – quella della cura dei corpi dei defunti –. Ogni consuetudine comunitaria è spesso la via per la salvezza: rimanere fedeli al cammino, alla tradizione, alle radici di un popolo significa trovare insieme una strada, soprattutto quando da soli non sappiamo più dove sta il bene e il male.
Guai a perdere la memoria delle nostre radici! Guai a spezzare il legame delle generazioni che trasmettono i valori belli e profondi!
Con le donne d’Israele noi adulti e anziani scegliamo, in questa notte santa, di cercare ancora e instancabilmente i giovani, che spesso patiscono più di ogni altro il senso di abbandono e di solitudine. Cerchiamo i giovani anche quando sembrano nascondersi nei sepolcri delle loro stanza virtuali, riconoscendo che sono i primi innocenti crocifissi e sepolti dal sistema consumistico e ingiusto in cui viviamo.
Chi si sente cercato, infatti, scopre di essere vivo anche quando pensava di essere morto per sempre. Perché essere cercato significa valere per qualcuno: e se le donne di Israele, cercando il Signore crocifisso addormentato nel sepolcro, hanno contribuito alla sua resurrezione, tanto più ci facciamo mediatori di profumi di gioia noi, quando non ci stanchiamo di cercare le pecorelle smarrite, i dimenticati ed emarginati, i giovani rannicchiati nelle loro ansie e paure.
Cercare per amore è l’arte della Chiesa, oggi più che mai urgente.
Noi qui siamo Chiesa, convocata dal Padre, ad attendere lo Sposo, che tanto ci manca e tanto desideriamo.
Una Chiesa umile esploratrice, missionaria, evangelizzatrice è una Chiesa che non smette di uscire da sé stessa e dalle proprie sicurezze per farsi compagna di cammino. La fretta di questo mondo affannato diventa luogo per percorrere un tratto in compagnia di chi ha paura soprattutto di farsi le domande che contano, di stare con se stesso per conoscere il proprio cuore.
“Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?”.
Come per Lazzaro, c’è una pietra che impedisce il confronto con il grande dramma della morte. Ma il coraggio di desiderare di toglierla basta a sollecitare il prodigio. Le donne “alzano lo sguardo”, segno di un coraggio che le distoglie da sé, e vedono che la pietra è già stata fatta rotolare via.
Il sepolcro è aperto.
Per questo possono entrare e vederlo vuoto. Il sepolcro è aperto e vuoto. E lo rimarrà per sempre.
La buona notizia della Pasqua non è solo un sepolcro vuoto, privo del cadavere che lo abitava, ma anche un sepolcro aperto. Per sempre. Simbolo del coraggio di affrontare con lo sguardo “alzato”, cioè con animo vigoroso e fiducioso, la gigantesca domanda sulla morte. La domanda che attraversa i nostri cuori, che fa traballare le nostre sicurezze, che ci rende affannati e stanchi: perché la morte? perché la mia morte? perché anche Dio sembra aver ceduto agli artigli della morte?
Questa domanda, che genera ansia e paura, è la vera causa dei tanti mali del mondo. Tenere aperto il sepolcro significa non fuggirla e cercare “il crocifisso risorto” che ad essa offre l’unica risposta possibile: “io sono la risurrezione e la vita; io ho vinto la morte!”.
Siamo Chiesa.
Per accelerare l’alba di un nuovo mattino, per continuare a rotolare insieme tutte le pietre, anche quelle “molto grandi”, che appesantiscono i cuori degli uomini e delle donne, portando sempre con sé la puzza della morte. La sofferenza, piccola o grande che sia, è linguaggio del limite della nostra mortalità. Siamo qui, accorsi al sepolcro, per ascoltare ancora una volta l’annuncio e ripartire con le donne e i discepoli verso la Galilea: lì si respirano effluvi di vita, lì si intravedono raggi di luce dall’eterno, lì si riconosce il volto del Signore che veste di bianco i suoi fratelli e sorelle nella grazia.
La Chiesa è testimone che il sepolcro è vuoto e aperto.
E da quell’apertura scaturisce il fiume di acqua salubre che dona salvezza. Da quell’apertura si distribuiscono cibi succulenti e vini inebrianti di solidarietà e di comunione – come predisse Isaia. Da quell’apertura si affacciano i visi dei nostri padri (Adamo ed Eva, Abramo, Isacco, e i profeti… ma anche i nostri nonni, i nostri cari che sono in cielo…) per assicurarci che la vita è più forte della morte.
Il Risorto vive nella Galilea: è la vita feriale, sono gli impegni quotidiani. Famiglia, lavoro, rapporti sociali, la comunità cristiana nell’ordinarietà del cammino: queste semplici realtà umane vengono inondate dalla luce e deal profumo di grazia, cioè dall’amore senza fine. Quello con cui il Crocifisso ci ha amato e ci ama. Quello che ci fa figli nel Figlio mediante il battesimo. Quello che impariamo a diffondere anche noi, perché fatti a sua immagine e somiglianza.
“Non abbiate paura!” “Farete cose più grandi delle mie!”.
Ce l’ha assicurato Gesù. E una cosa, oggi più che mai, è necessaria per contribuire alla gioia dell’umanità divisa e ferita: non smettere di tenere aperto il sepolcro, per illuminare la domanda di senso che dimora nel cuore di ciascun uomo e donna che viene al mondo. Di tante cose ha bisogno l’essere umano, ma una sola può ricevere dalla Chiesa soltanto: l’annuncio vissuto, credibile e fedele, che “Gesù Nazareno, il Signore, il crocifisso, è veramente risorto!”. E non è più nel sepolcro, perché è qui, in noi e in mezzo a noi!
Buona Pasqua!
p. Luca Garbinetto, pssg