Gv 6, 24-35 – XVIII domenica del tempo ordinario – Anno B
Commento per lavoratori cristiani
Quello che si trova dipende certamente da ciò che si cerca. La risposta è conseguente alla domanda. Fa parte della dinamica della vita. Gesù lo sa bene, e quando vede le folle che lo seguono, sollecita il dubbio, stimola a interrogarsi.
Chi cerca nutrimento materiale, probabilmente può trovarlo: Gesù ha sfamato la moltitudine, come Dio aveva provveduto alla fame del popolo nel deserto. Ma si tratta di un cibo che perisce, che dura un giorno, che domani è già passato, se non dimenticato. La ‘manna’ è qualcosa che soddisfa i bisogni di un tempo, forse proprio di una dimensione dell’uomo. Perché la manna risponde alla domanda: ‘che cos’è?’ (cfr. Es 16,12-15). Esaudisce il desiderio di chi cerca qualcosa.
Ma l’uomo non è solo questo. E soprattutto Gesù non è qualcosa. Gesù è qualcuno, anzi Qualcuno con la lettera maiuscola. Gesù risponde alla ricerca di chi ha il coraggio di chiedersi e di chiedergli: ‘ma tu, chi sei?’. ‘Io sono il Pane disceso dal Cielo!’.
È un’altra dimensione, è un altro cibo, è un’altra vita. Gesù è la risposta alla domanda di relazione, di esistenza, di senso che il cuore dell’uomo porta con sé, in sé. Perché anche l’uomo non può essere ridotto a qualcosa, e chi si limita a cercare risposte materiali ai drammi dell’esistenza, non può che restare a un livello parziale, anche delle soluzioni. L’uomo è un ‘chi’, è una persona. Nessuna creatura al mondo gode di altrettanta dignità, per quanto tutta la creazione meriti il rispetto e la cura affidati proprio all’uomo.
E la dignità più alta della persona umana sta proprio nel riconoscersi capace di mangiare il Pane che è Dio. Cioè capace di accogliere Lui, di assumerlo in sé come parte vitale, come nutrimento integrale, totalizzante. Gesù si dà come Persona perché ogni persona possa riceverlo nella propria esistenza e trasformarsi in Lui.
Strano cibo, questo Pane: a differenza di ogni altro pane, non è la persona ad assimilarlo a sé, ma è il Pane stesso che ci assimila alla Sua natura. L’uomo diviene divino, partecipa della Vita eterna. È un Pane che rompe i confini del tempo, e introduce i suoi commensali a un banchetto che non ha limiti, che fin da ora irradia la fragranza del Paradiso. Gesù ci fa diventare come Lui. Con la pazienza del mugnaio e del panettiere, con la costanza dei fermenti vivi, che operano da dentro una lenta e progressiva trasformazione. Nutrendoci del Pane disceso dal Cielo prendiamo il colore e il sapore del Cielo stesso.
Questo è il nutrimento di cui ha veramente bisogno il mondo. Si tratta di un cibo che non perisce, perché chi di Lui si nutre, diviene egli stesso Lui, cioè segno e strumento della sua presenza nel mondo. Noi diveniamo Pane, con sapore di Cielo. E la folla che continua a cercare, spesso inconsapevole, ma affannata e a tratti angosciata, può sentire risvegliare in sé quel desiderio di ‘Qualcuno’ se sulla propria via incrocia qualcun altro che si sta lasciando contagiare di gusto di pane.
Chissà sia l’occupazione più urgente e totalizzante da fare propria, per ogni cristiano che scopre la ricchezza e la dolcezza della mensa eucaristica. Spendere tempo quotidiano a raccogliere i frammenti del Pane celeste, che stanno nella Parola e nei sacramenti, per poterli a sua volta continuamente seminare nei campi del mondo. Non solo come piccoli cestini di vimini, portatori di un cibo profumato e succulento, ma addirittura noi stessi come pagnottelle – o anche briciole, ma comunque saporite – del buon Pane disceso dal Cielo.
Padre Luca Garbinetto
Pia Società San Gaetano
Mc 14, 12-16.22-26 – Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – anno b
Commento per lavoratori cristiani
A pensarci bene, se c’è qualcuno che avrebbe potuto legittimamente decidere di appropriarsi di sé e di tenersi stretto per sé ciò che è e ciò che ha, questo qualcuno sarebbe solamente Dio! Egli è l’Onnipotente, l’Altissimo, il Creatore di tutte le cose. Che cosa, dunque, gli impedirebbe di esercitare la sua autorevole supremazia sul mondo e sull’uomo decidendo di gestire per sé quello che Egli è?
Paradossalmente, invece, noi scopriamo sempre più un Dio che di sé ha voluto spogliarsi ed espropriarsi, per donarsi a noi, piccole sue creature. Questa logica di Dio impressiona! Ha voluto darsi, lasciando spazio di sé affinché l’uomo esista e viva. E quando questo spazio l’uomo lo ha acquisito con atteggiamento egocentrico, pretendendo di essere dio al suo posto, Egli di nuovo ha scelto di donarsi. Così è venuto a mescolarsi in mezzo ‘ai suoi’, assumendo un corpo, che esprime più di ogni altra cosa il limite e il confine in cui esistono le sue creature.
Il corpo è dimensione costitutiva, ‘habitat’ necessario per essere uomini qui, su questa terra. Il corpo è strumento di approccio e di relazione, primo tramite per incontrare l’altro. Il corpo è fisicità, è l’esercizio dei sensi, è concretezza: si vede, si tocca, si ode, si odora. Il corpo si bacia e può baciare. Tutto questo, Dio l’ha assunto in sé, facendosi uguale alla sua creatura. Tranne nel modo di gestire questo tabernacolo della grazia che è il corpo.
In Gesù, infatti, Dio ha manifestato la sua donazione offrendo ai suoi anche il suo corpo e il suo sangue. Anche la carne fragile del Maestro è divenuta oggetto di espropriazione, e mai Gesù ha voluto esercitare il diritto al possesso. Perché in Lui tutto si integra nella logica sconvolgente del dono.
Ci troviamo così, oggi, a poter vedere, toccare, gustare ancora il Corpo del Signore. Non in una esperienza puramente materialista, quasi molecolare. Piuttosto, lo percepiamo presente e donato a noi soltanto se anche noi accettiamo di non possedere, di non gestire tutto, e di entrare nella logica del dono gratuito di sé.
Questa è l’Eucaristia: una sorgente di vita donata, perché frutto maturo della Vita donata. Dall’Eucaristia ‘prendiamo’ ciò che ci è necessario per vivere. Un nutrimento fisico, che diviene spirituale e ci fa assaporare il gusto della carne di Cristo: sa di offerta! Il pane divenuto corpo e il vino diventato sangue sono presenza tangibile della logica dell’amore. Chi infatti pretende di comprendere con la testa o di controllare con il ragionamento, perde di vista il senso profondo dell’essere Corpo di Cristo. Che è appunto la spogliazione dalla pretesa di possedere.
Gesù non ci ha solo indicato la strada della consegna per amore, praticandola per primo. Egli ci rende anche capaci di seguirlo in questa via di autentica realizzazione, attraverso la condivisione di sé nell’Eucaristia. Se accettiamo che Egli si da a noi realmente, ma senza presumere di incasellarlo nei nostri schemi materialisti, allora impariamo a contemplare anche il nostro stesso corpo e la nostra stessa fisicità – abitata dallo Spirito – come dono da ricevere piuttosto che come oggetto da possedere e usare.
Quanto dolore, mascherato di illusione, genera oggi l’affannosa corsa a voler abusare delle risorse limitate del nostro corpo, a manipolare la vita che scorre nelle cellule della carne nostra e altrui, a insinuare freneticamente il superamento di ogni confine naturalmente impostoci dalla nostra fisicità! Oltre ogni singola e complessa questione etica, va ribadito che noi siamo dono a noi stessi, che il corpo è ricevuto come grazia e come peso, che l’intera persona, in anima e carne, è prezioso regalo del Cielo da accogliere, non da sfruttare.
La solennità del Corpo e Sangue del nostro Signore Gesù Cristo ci interpella oggi a uno sguardo più profondo e intimo sulle realtà così quotidiane e coinvolgenti della nostra affettività, dei nostri sentimenti, delle nostre relazioni, che necessariamente interpellano la nostra fisicità, e quella di ogni persona, piccola o grande che sia. ‘Prendete, questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…’: sono le formule di un’alleanza, non di una costrizione. Dio offre tutto se stesso, anche la povertà assunta in sé nell’Incarnazione, perché soltanto nella logica della spogliazione da sé trova fissa dimora il patto d’amore tra Lui e noi.
La stessa disponibilità a ‘perdersi’ perché l’altro abbia vita è l’autentica vocazione eucaristica che rende saldo il rapporto tra due persone.
Padre Luca Garbinetto
Pia Società San Gaetano
Gesù è all’inizio della sua predicazione, la gente è affascinata dalla sua parola e lo costringe a veri tours de force. Siamo sul Lago di Gennesaret, a Cafarnao, dopo una giornata intensa. Gesù si ritira su un luogo solitario. Il luogo offre bellezze uniche e là prega. “La bellezza salverà il mondo” dirà secoli dopo Dostoevskij. Gesù si alza nella notte, è ancora buio, esce e contempla. Marco tramanda a noi una descrizione dettagliata di tempo e spazio per evidenziare l’azione più importante: la preghiera di Gesù. Il tutto ci fa pensare che Marco dia molta importanza a questo appartarsi di Gesù in preghiera solitaria col Padre celeste, visto che lo fa solo in tre occasioni particolari: qui dopo la prima intensa giornata di attività apostolica, dopo la moltiplicazione dei pani (6,46) e nell’Orto degli Ulivi (14,32ss). Potremo dire che Gesù figlio di Israele vive il salmo “Fermatevi! Sappiate che io sono Dio”(Sal 46,11). Invita ciascuno di noi a fermarsi, a stare davanti a lui e non a noi stessi. Il risultato di questo stare con Lui saranno i frutti dello Spirito “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). La nostra vita diventa viva, generatrice di bene, di bontà, di bellezza, e questo è dono dello Spirito che non è mai acquisito del tutto finché viviamo. Papa Benedetto a Colonia nel 2005 ai giovani in occasione della GMG disse: “A tutti vorrei dire con insistenza: spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il 'diritto di parlarvi'. Esponete le vostre gioie e le vostre pene a Cristo, lasciando che Egli illumini con la sua luce la vostra mente e tocchi con la sua grazia il vostro cuore”. La preghiera è comunione di affetto con Dio, la preghiera è il cuore che ama. L’amore cresce se è coltivato, se dedichiamo del tempo, se lo custodiamo. La preghiera dona respiro all’anima, ci porta in un’oasi serena in cui regna la pace e alla cui acqua possiamo dissetarci per riprendere ristorati il cammino della nostra vita spirituale. La salita allora al monte della santità non ci farà più paura perché ci accorgeremo di camminare con Lui. La preghiera è la vita dello Spirito in noi. La sosta nella “cura del Sole”, cura ecologica e priva di controindicazioni, ci aiuta a scoprire la vita dello Spirito in noi e ci porta alla pienezza. Potremo allora dire a Gesù con Pietro: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. (Gv 21,17).
Come vivere, allora, la Parola dell'Impegno di Vita di questo mese?
Trovare qualche spazio, anche se piccolo, da dedicare alla preghiera personale di incontro con il Padre sull'esempio di Gesù. E se già siamo abituali a farlo, intensificare questi momenti di preghiera.
Prendere la tinta di Dio, una mentalità divina
Il nostro colore non possiamo acquistarlo presso nessun negozio: il nostro colore ce lo dà Dio, vuol essere lui a darcelo! Perciò lo scopriremo insieme in ginocchio. Noi, mettendoci in questa totale disponibilità, prenderemo la tinta di Dio, una mentalità divina.
La prima cintura da allacciare è la “cura del sole”. In altre parole: allacciatevi al tabernacolo, avvicinatevi al tabernacolo! Imparate a vivere della vita di Gesù: vita di preghiera, vita di unione con lui. Penso che noi avremo sempre la forza di dire di sì al Signore, finché faremo la cura del sole alla sera dinnanzi al tabernacolo. Quando noi cesseremo di intrattenerci a tu per tu la sera con la SS. Trinità, forse in “quel” momento mancherà a noi la forza di dire di sì.
Se ti metti dinnanzi al Signore e rimani alla “cura del sole”, lui ti vivifica, ti dà vita, ti rinnova la vita.
Per conoscere Gesù bisogna andare vicino a lui e dire al suo Spirito che è dentro di noi: “Dimmi, o Signore; insegnami, o Spirito Santo. (Don Ottorino, citazioni varie dalle sue meditazioni)
Gv 14, 15-21 – VI Domenica di Pasqua
Commento per lavoratori cristiani